Il mistero della tomba S64 di Baratti: un torbido caso di “sepoltura anomala”

La Cappella di San Cerbone è ben visibile lungo la carrozzabile che dal Parco Archeologico  di Baratti e Populonia (LI) conduce all’antica Acropoli etrusco-romana e alla medievale Populonia alta. Dietro la cappella c’è il mare, il pittoresco e ben protetto Golfo di Baratti, l’attivissimo porto che fin dal tempo degli Etruschi  fu al centro dei traffici commerciali dei minerali di ferro e di rame: qui dall’Elba arrivavano per essere portati negli edifici industriali di Populonia, oppure partivano quelli estratti nelle miniere del Campigliese. Populonia era una delle città facenti parte della Dodecàpoli etrusca e deteneva il primato della metallurgia. Le scorie delle fusioni finirono per formare cumuli così alti da ricoprire la vallata, le colline e arrivare fino al mare; coprirono anche le necropoli etrusche, ritrovate con fatica solo negli ultimi due secoli.

Durante le invasioni barbariche, l’industria mineraria di Populonia decadde, il porto s’insabbiò, il golfo si ridusse di superficie, e la malaria portò la desolazione dove un tempo era stata la vita della città metallurgica.  Cerbone si trovò ad essere vescovo della città proprio nel VI secolo, quando erano in atto le incursioni dei  Goti, cui era inviso per aver nascosto dei militi romani e cristiani ricercati. Condannato da Totila ad essere sbranato da un voracissimo orso, sarebbe invece sopravvissuto operando il prodigio dell’ammansimento della fiera stessa.  Totila rilasciò San Cerbone ma questi, all’arrivo di una nuova ondata di invasori, i Longobardi, venne scacciato e riparò sull’isola d’Elba (1). Poco prima di morire pregò i suoi monaci di ricondurlo sulla sponda opposta, sulla riva del mare sotto Populonia, per essere sepolto nei pressi di una fonte che ancora oggi si chiama “di San Cerbone” (2).

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Ingresso della chiesa di San Cerbone a Baratti

Sul luogo di sepoltura di Cerbone, poi santificato, venne costruita una cappella, che oggi vediamo rimaneggiata; in essa però si riscontrano elementi decorativo-simbolici appartenenti all’VIII-IX secolo. Attorno alla chiesa del XII-XIII secolo sorse un cimitero. E’ proprio dallo scavo archeologico di quest’ultimo che nel 2008 è emersa una tra le sepolture più enigmatiche scoperte in Italia, nota come “la strega di Baratti”.

Un cadavere inchiodato alla terra

Il cimitero medievale nell’area della Cappella di San Cerbone è stato oggetto di indagine archeologica da parte di un’equipe di archeologi e antropologi dell’Università dell’Aquila (3) che sperava di ritrovare la tomba del santo. Sorprendente è stata invece la scoperta di un cimitero costituito da innumerevoli sepolture,  risalenti ad epoche diverse ma tutte medievali.

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Il cimitero medievale: due immagini delle sepolture venute alla luce durante gli scavi del 2008

In prossimità della facciata della chiesa e fra altre tombe normali (i cui cadaveri, cioè, non presentavano anomalie di sorta), gli archeologi devono essersi veramente ammutoliti  davanti alla tomba contrassegnata S64: vi era stata deposta una persona con 5 chiodi all’interno della bocca, di cui tre ricurvi, posti intenzionalmente post-mortem. L’analisi accurata della sepoltura ha permesso di stabilire alcuni parametri incontrovertibili:

  • Lo scheletro apparteneva ad una donna di un’età oscillante tra i 45 e i 55 anni
  • La sua altezza era di 159,3 cm (con un margine di 3,55 cm in più o in meno)
  • L’epoca in cui visse è il tardo 1300
  • Nel cavo orale aveva cinque chiodi introdotti con intenzionalità; di questi, tre erano ricurvi, la qual cosa fa pensare ad un valore simbolico più che pratico. I chiodi non hanno lesionato il cavo orale o le vertebre cervicali retrostanti. Furono inseriti, dunque, ma non inchiodati

Altri chiodi erano stati invece conficcati allo scopo di “ancorare” quel corpo alla terra:

  • un chiodo era presente tra la clavicola e il processo acromiale della scapola destra, e secondo i ricercatori fu volutamente inserito nelle carni della defunta, in prossimità delle arterie succlavia e carotidea, oltre che nella vena giugulare. Le incrostazioni sull’osso confermano come il chiodo gli sia passato vicinissimo, intaccando anche la prima costa sottostante
  • un altro chiodo si trovava tra il IV e il V spazio intercostale sinistro, in corrispondenza del cuore, senza ledere le ossa contigue (ma chissà che successe al cuore…)
  • due chiodi erano stati posti tra i femori (diafisi femorale sinistra nella porzione prossimale – in corrispondenza con il ramo dell’arteria femorale) e l’astragalo sinistro; l’indagine paleobiologica sui fori, condotta dalla d.ssa Valeria Amoretti, ha stabilito che furono prodotti in antico quando l’osso era ancora elastico (mancano microfratture e non hanno segni di fenomeni di riparazione), dunque poco prima o poco dopo il decesso della enigmatica donna
  • Un chiodo era all’esterno della gamba sinistra
  • Quattro chiodi sono stati trovati nei piedi

Lo scheletro della donna sepolta nella tomba S64 e, a destra, il disegno ricostruttivo con l’esatta indicazione della posizione dei chiodi che, in totale, erano 14 (la freccia indica il Nord)

Appare dunque chiaro che alcune parti del corpo erano state inchiodate al terreno.  Il corpo non era stato messo in una cassa di legno, poiché non sono state ritrovate tracce organiche della decomposizione del legno mentre sono evidenti i segni di decomposizione del corpo in terra.

Perché riservare un simile trattamento, così cruento, a questa donna? Sembrerebbe una pratica di tipo necrofobica [4] (o apotropaica?) per impedire al corpo di muoversi dal proprio sepolcro
La tomba e lo scheletro
La tomba della ipotetica “strega” è orientata S-O/ N-E ed è ubicata a ridosso del limite sud-est dello scavo, a circa 6 cm dal cantonale destro della chiesa; non è possibile determinare se sia stata una posizione centrale o periferica perché il cimitero prosegue oltre i limiti dello scavo.  La necropoli fu molto usata sia prima dell’inumazione della donna che dopo, anche se per poco; l’edificio sacro era in uso quando venne sepolta ma il cimitero sembra sia stato abbandonato dopo poco tempo. Infatti vi fu un progressivo interramento del terreno, molto argilloso,  cui seguì una disorganizzazione delle inumazioni. La tomba è abbastanza profonda e molto stretta: ciò ha causato un effetto parete su alcuni distretti scheletrici. Il cinto scapolare mostrava una costrizione a livello delle spalle e una forte verticalizzazione delle clavicole; anche la posizione del femore sinistro (con l’epifisi distale ruotata verso l’interno) porterebbe a stabilire che vi fosse un sudario o una fasciatura che “conteneva” il cadavere. Si tratta di una semplice fossa terragna, priva di segnacoli lapidei (non sembra che queste tombe potessero avere dei segni di riconoscimento in superficie) e di elementi di corredo riferibili ad un abbigliamento.

La giacitura è primaria, cioè in connessione anatomica e la posizione del cadavere non è difforme da quella delle altre sepolture trovate nello stesso cimitero. Lo stato di conservazione dello scheletro, deposto dorsalmente, è apparso buono agli occhi dei ricercatori, eccettuata la mancanza dell’osso frontale e parte dei distretti scheletrici del cranio; quest’ultimo fu rinvenuto un poco più alto rispetto al resto del corpo[5] ed è interessante capirne il motivo. Così come si è trovata, la testa era adagiata su un cuscino funerario in laterizi ma non si tratta di un mattone deposto intenzionalmente originariamente: quando infatti la fossa tombale S64 venne realizzata, fu intercettata una struttura tombale appartenente ad una sepoltura più antica, della quale un mattone fu usato come cuscino funerario per adagiare la testa della nostra anonima. Una “delicatezza” che sembra stridere con il trattamento cruento dell’inchiodamento.

La mandibola era aperta. Lo scheletro presentava gli arti superiori incrociati in modo simmetrico sull’addome; quelli inferiori erano distesi parallelamente alla fossa, con le ginocchia e i piedi uniti.  Non sono emerse fratture o traumatismi a carico delle ossa; potrebbe significare che non ha subito torture ma ciò non esclude l’ipotesi di una morte per omicidio (soffocamento, ad esempio).

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Dettaglio dei chiodi inseriti nel cavo orale della donna inumata nella tomba S64

Ulteriori ricerche metriche hanno permesso ai ricercatori di capire che la donna non doveva essere denutrita e che poteva appartenere ad una classe sociale non tra le più povere. Hanno anche capito che tipo di lavoro potesse svolgere: filatrice, cucitrice o un’artigiana che lavorava spesso seduta su un sedile rigido o uno sgabello. Questo si è dedotto da diversi fattori: il forte uso del cingolo scapolare, in pronazione, la clavicola robusta, elevato uso dei polsi (marcata artrosi all’avambraccio e al polso sinistri e artrosi pure alla zona temporo-mandibolare bilateralmente) e anche dalla situazione dei denti. Si è notata infatti un’usura dovuta non solo alla masticazione ma ad attività lavorative di chi strappa fili o altri materiali con i denti anteriori. I denti erano ricoperti dal tartaro, era presente carie deostruente, ed è stata osservata una ritrazione alveolare su entrambe le arcate dentarie.

Revenantismo?

Il caso della donna nella tomba S64 rientra a pieno titolo nella casistica delle “sepolture anomale” che “sono frutto di azioni volontarie, compiute sul cadavere o sulla tomba prima o dopo la sepoltura, che si differenziano drasticamente dalle pratiche funerarie adottate normalmente e possono spaziare dall’inserimento di oggetti inusuali nel corredo a pratiche di immobilizzazione e costrizione del cadavere nella tomba, fino a lesioni fisiche del defunto”[6].  La necrofobia, cioè la paura dei morti, risale all’alba dei tempi. Chi era stata, in vita, la donna inchiodata a terra, per avere paura che tornasse a vivere? Perché venne fatto questo al suo cadavere? E come mai si trova tra sepolture normali, visto che tanto “normale” non doveva certo essere stata considerata?

Sarà molto difficile risalire con certezza alla sua identità, se non impossibile. In base al rituale magico che sembra evidente averla interessata appena prima della morte o subito dopo (non essendo poi stata più aperta la sepoltura), si possono fare delle congetture, in base all’epoca in cui visse (infarcita di credenze e superstizioni) e ad altri ritrovamenti “simili”.

Nel Medioevo bastava poco per essere tacciate di eresia e dichiarate “streghe”: conoscere le erbe e i loro rimedi, praticare i culti “naturali” legati alla natura e agli elementi, e spesso la Chiesa interveniva con metodi discutibili che andavano dall’ammonimento alla scomunica fino al rogo.  Ma la strega poteva ritornare tra i vivi dopo morta? Di certo, alla donna della S64 si voleva impedire che continuasse a pronunciare sortilegi (che magari faceva in vita), vista la presenza di cinque chiodi (di cui tre ricurvi) nella bocca.

Individui che nascevano con deformità di qualche tipo, coloro che avevano compiuto dei crimini,  quelli che venivano discriminati per il loro ceto sociale, o i suicidi (per citare alcune condizioni) erano tutti passibili di pratiche necrofobiche.  Alla base c’era quasi sempre l’idea che tali persone fossero preda del demonio: le persone ritenute indemoniate erano temutissime, anche dopo morte, per questo era necessario trattenerne corpo e spirito nel sepolcro.

I Greci hanno coniato il nome di vrykolakas, una sorta di vampiro, individuo scomunicato dalla Chiesa in vita e che tenta dopo morto di riconciliarsi ma secondo la concezione popolare –rischiando di essere posseduto dal diavolo – potrebbe compiere azioni nefaste.  Secondo la cultura slava, i vrykolakas possono succhiare il sangue dei viventi, perciò vanno implacabilmente assicurati nella tomba con metodi cruenti.

Si conosce un fenomeno che va sotto il nome di “revenantismo” (un francesismo antico che equivale più o meno a vampirismo), secondo il quale i morti potrebbero tornare nel mondo dei vivi e pertanto va impedita la loro fuga dal sepolcro. A tale scopo si impiegano sassi, chiodi, cunei, borchie, o vengono mutilate delle parti, soprattutto la testa.  Nel XVII e XVIII secolo, specialmente, (taluni) morti erano sospettati di essere revenants o vampiri; alcuni autori contemporanei  hanno chiamato questo fenomeno Magia Posthuma.

I masticatori di sudari  o Nachzehrer (Nacht=Notte e Zehrer=Divoratoresono anch’essi considerati dei vampiri ma che masticano i sudari in cui sono avvolti, o le parti superiori del corpo. ”I Nachzehrer erano soliti, nella loro tomba, masticare il velo funebre (il sudario), provocando un rumore simile a un grugnito, e come una larva crescevano e maturavano finché erano in grado di emergere come veri e propri vampiri, mentre l’immediata conseguenza della masticazione erano le epidemie”[7]. Per ovviare a questa terrificante eventualità si ricorreva alla estumulazione del non-morto, tirandogli via il sudario e mettendogli degli oggetti in bocca, come delle grosse pietre.

Era anche diffusa la concezione che i masticatori di sudari provocassero morti a distanza (specialmente in coloro che abitavano in prossimità della loro sepoltura), a causa dell’abbassamento di energia che inducevano. La loro importanza è stata tale che sono stati prodotti due importanti saggi: Dissertatio Historico-Philosophica de Masticatione Mortuorum del teologo Philip Rorh (1679) e Masticatione Mortuorum in Tumulis di Michael Ranfitus (1725). Il secondo cercava di confutare le teorie del primo, improntate sull’azione del demone Azazel, con spiegazioni scientifiche del fenomeno (che invitiamo a leggere qui).

“Uno dei modi per impedire il ritorno del defunto e dei tanto temuti vampiri – scrive Letizia Cavallini[8] – era quello di “chiodarlo” a terra, legarlo, o traforargli le tempie con un chiodo, affinché esso non tornasse sulla terra sotto forma di spirito maligno, di presenza ostile alla famiglia, o alla comunità.  Fanno parte della legatura del cadavere diverse pratiche deposizionali: il legamento vero e proprio, il fissare il morto al terreno con dei pali o dei chiodi, il deporre il morto con il capo all’ingiù o con gli occhi coperti. I chiodi, tuttavia, assumono, in riferimento al mondo dei morti, una valenza più genericamente apotropaica. Nell’antichità il chiodo, per il suo valore magico e sacrale, veniva posto molto spesso nelle tombe egizie, fenicie, etrusche e romane per tenere lontano le forze del male e i demoni che apparivano di notte causando terrore e morte […] In passato i chiodi erano anche considerati simbolo di fatum, cioè di un destino inesorabilmente fissato; spesso, soprattutto in tempi remoti, erano utilizzati anche come amuleti e venivano posti nelle fondazioni degli edifici, come troviamo ad esempio in Caldea, dove spesso sono presenti simulacri di chiodi in terracotta sotto i muri delle abitazioni. Plinio ci informa sull’abitudine di seppellire i chiodi, estratti dalle bare, sotto le soglie delle case, per allontanare i turbamenti dell’animo. I chiodi potevano anche essere usati come veri e propri strumenti di tortura, o per infierire sul cadavere”.

Sicuramente quest’ultima eventualità è da mettere in relazione con il caso della donna della tomba S64, dato che le analisi hanno dimostrato che le aguzze punte dei chiodi sono scese fino alle membra, e non nel legno di una bara, che era inesistente.  Oltre all’offesa al corpo, però, ci sta l’intento necrofobico e apotropaico, un insieme di “moventi”.  Tra i tanti misteri ed elementi macabri della vicenda, è da evidenziare la possibilità che i chiodi nel femore siano stati messi poco prima di morire, e non dopo la morte: ma dov’è morta questa donna, allora? Fu deposta nella fossa mentre esalava l’ultimo respiro, incosciente, o forse ha capito tutto? I restanti chiodi furono collocati post-mortem, ma dato che la sepoltura non venne mai riaperta, essi vennero apposti in corso di tumulazione: è impressionante quanta fretta abbiano avuto di assicurarla all’oltretomba…

La donna con i dadi

Nello stesso cimitero è stata rinvenuta un’altra sepoltura che, se non terrifica come quella appena discussa, è perlomeno curiosa: si tratta sempre di una donna sepolta in una fossa insieme a un sacchetto di pelle con, all’interno, 17-18 dadi in osso. Nel Medioevo il gioco dei dadi era bandito, specialmente per il genere femminile: perchè metterne tanti in quella tomba? Per il momento lasciamo l’alone del mistero.

Marisa Uberti da duepassinelmistero2.com

Note.

[1] S. Cerbone (forse discepolo di San Mamiliano, che si era ritirato sull’isola di Montecristo), sfuggito alle orde barbariche di Gummarith (VI sec. d.C, circa), si sarebbe ritirato all’Elba in eremitaggio, forse con alcuni compagni; sul luogo di quell’antica grotta sorse in seguito una chiesina romanica, che nel 1421 venne rifatta dal principe Appiani, che governava l’Elba. L’edificio subì molti saccheggi e tutto l’arredo venne depredato; dopo secoli di abbandono è stato recuperato da un gruppo di volontari negli anni ’90 del XX secolo. Un luogo interessante, per il contesto di completo isolamento in cui è situato, v. nostro report del 2010: http://www.duepassinelmistero.com/Elba2.htm

[2] Che restò caratteristica di quel luogo, e dette poi origine al proverbio, ancora ripetuto in Maremma: ” Chi non beve a San Cerbone, è un ladro o un birbone ” (v. http://www.santiebeati.it/dettaglio/90472)

]3] Redi, Fabio- Forgione, Alfonso-Savini, Francesca-Amoretti, Valeria (Università degli Studi de L’Aquila) “Davvero una “strega” fra gli inumati di Baratti (Populonia, LI)? Un caso di sepoltura “anomala” nel cimitero medievale di San Cerbone, in Luoghi di Culto e Archeologia funeraria, pp. 565-572  www.academia.edu/ (da cui sono tratte alcune immagini)

[4] Necrofobia significa paura della morte o dei cadaveri (formato da necro– dal greco νεκρός ossia morto, e da –fobia, dal greco -ϕοβία, che deriva da ϕοβέομαι ovvero temere)

[5] 5 cm rispetto alle spalle e ai piedi, 10 cm rispetto all’addome e alle ginocchia

[6] Anastasia Tsaliki, Atti del Convegno Sepolture Anomale: indagini archeologiche e antropologiche, dall’epoca classica al Medioevo in Emilia Romagna, Castelfranco Emilia, 19 dicembre 2009 (pp. 3-6)

[7] Intervista all’antropologo forense Matteo Borrini

[8] Cavallini, Letizia- Tesi di Laurea Anno Accademico 2009-2010 “Le sepolture anomale in Italia: dalla lettura tafonomica all’interpretazione del gesto funerario”, relatore prof. Gino Fornaciari, Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, pp. 8-9, scaricabile qui In questo lavoro sono ottimamente esposti numerosi casi di “sepolture anomale” in Italia.

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